"... Il momento presente della storia,
nonostante tutte le sue ricchezze materiali,
rappresenta un ben triste deserto per l'anima che tende
ad alte idealità e ad immortali aspirazioni."
E. Schurè - "I Grandi Iniziati"
Gli studiosi di etimologia portano avanti la polemica sull'origine del termine
"pagano" da tempo immemorabile, con certezza si sa che deriva dal latino
"paganus", aggettivo proveniente dal sostantivo
"pagus", villaggio/insediamento rurale e agricolo.
L'ipotesi più plausibile è quella che collega il sopraccitato
termine alla resistenza che il mondo agreste oppose vividamente
alla cristianizzazione.
Cosa del resto che non meraviglia più di tanto, le popolazioni rurali,
direttamente a contatto con la spiritualità della terra e con i cicli naturali,
sono state da sempre gelose custodi delle tradizioni ataviche che legavano in
una comunione indissolubile la loro esistenza con il proprio spazio vitale naturale.
Chiaramente il termine veniva adoperato dai cristiani in senso spregiativo, il
primo esempio scritto di tale uso lesivo del sostantivo pagano proviene da una
iscrizione epigrafica del IV secolo d.C.
Risulta tuttavia evidente che fosse in uso già da tempo considerevole.
E' interessante comparare quanto detto sopra con altre persecuzioni che il
mondo rurale - inteso nella sua essenza - ebbe nel corso dei secoli per
motivazioni simili.
Il "Frammento di Sharazur" (Kurdistan meridionale / VII - VIII secolo) recita:
"Distrutti sono i luoghi di preghiera,
i fuochi sono spenti.
I più grandi tra i grandi si sono nascosti.
Gli arabi crudeli abbattevano
i villaggi dei contadini fino a Sharazur.
Prendevano come schiave le loro mogli, le loro figlie.
Uomini valorosi si rotolavano nel sangue.
Ahura Mazda, non ha pietà di noi."
Questo scritto riporta drammaticamente lo scenario abituale durante la conquista
del Kurdistan da parte degli invasori islamici.
Parallelo interessante: i musulmani vedevano i contadini,
al pari dei cristiani, come nuclei di resistenza all'imposizione
della fede islamica, confermando la matrice comune abramitica.
Del resto anche le dittature comuniste di questo secolo colpirono le
classi rurali per la resistenza che, ipotesi più che scontata, avrebbero potuto
opporre all'imposizione di un credo ideologico dalle forti venature urbane,
positivistiche e - estremo paradosso per i figli del materialismo storico -
da una struttura intrinseca che Campbell paragonò ad una religione di tipo abramitico.
La piccola digressione etimologica compiuta all'inizio del presente articolo,
ci fornisce uno spunto di riflessione ed introduce utili chiavi
d'interpretazione riguardanti l'antica
spiritualità precristiana.
Vediamo infatti già una prima contrapposizione tra il paganus,
abitante degli spazi rurali, geloso delle tradizioni ed inserito
nel ciclo naturale, e l'abitante delle città, cristianizzato,
cosmopolita e reso orfano dai legami ancestrali che lo legavano
al suo retaggio spirituale.
Qui tocchiamo una questione molto importante che meriterà
una successiva e approfondita trattazione; cioè il nesso
esistente tra la cristianizzazione e l'ambiente urbano.
Molti studiosi del paganesimo contemporaneo, in sintesi, ipotizzano che
proprio la cittadina agreste italica, trasformatasi gradatamente in qualcosa
di simile alla "polis" greca, sia stata la "lacerazione" del tessuto spirituale
europeo che permise una più facile propagazione delle sette cristiane e di tutto
il loro desertico armamentario culturale.
Torniamo però al nostro tema fondamentale, infatti, già dalla breve
analisi introduttiva, risulta evidente una delle linee essenziali della paganità:
IL PAGANO ERA UN INDIVIDUO INSERITO NELL'ALVEO NATURALE, POSSEDEVA LA
CAPACITA'D'INTERAGIRE ATTIVAMENTE CON ESSO, POICHE' CONSPEVOLE DI ESSERNE
PARTEINTEGRANTE.
Ecco quindi una delle prime e principali linee di frattura tra il sistema
di pensiero delle antiche religioni e quello proprio del blocco culturale
semita/abramitico.
Useremo il termine "abramitico" - utilizzato anche dal grande studioso
delle religioni Campbell - per designare il sistema di pensiero proprio
dell'ebraismo, del cristianesimo e più tardi dell'Islamismo.
Infatti le fondamenta tra le tre grandi religioni monoteiste sono comuni,
provenienti come sono dall'alveo culturale del nomadismo semitico.
Nella "Genesi" - libro fondamentale del "Pentateuco" - leggiamo che dio
(uso volontariamente la lettera minuscola) dopo aver fatto l'uomo a sua
immagine e somiglianza (sic…) affermò:
"…Prolificate, moltiplicatevi e riempite il mondo,
assoggettatelo e dominate sopra i pesci del mare
e su tutti gli uccelli del cielo e sopra
tutti gli animali che si muovono sopra la terra."
Questa orribile manifestazione di pura arroganza è purtroppo leggibile,
come ho detto, nel libro della "Genesi", precisamente al versetto 1,28.
La frattura tra il mondo abramitico e quello pagano, specialmente indo-europeo,
è qui nettissima e insanabile.
Per l'ebraismo ed il cristianesimo l'uomo, in quanto unico depositario del favore
divino, può arrogarsi il diritto di predazione sul resto del creato.
Il pagano inserito nel mondo naturale invece basava il suo rapporto di necessaria
interazione con il creato su presupposti completamente diversi, ilrispetto che egli
nutriva nei confronti di animali, vegetali e addirittura roccee pietre, era immenso.
Conscio di dover attingere alle risorse naturali per sopravvivere, si rendeva però conto
di dover rifondere quello che prendeva; a testimonianza di questo orientamento restano
le vestigia di molte ritualità atte ad onorare e calmare,spesso con offerte rituali,
gli spiriti degli alberi tagliati e degli animali macellati.
Presso gli antichi slavi - tra gli ultimi in Europa ad abbandonare la fede pagana -
colui che tagliava un albero senza prima ingraziarsene lo spirito, subiva una morte
brutale: veniva legato al tronco con le sue budella e lasciato morire di emorragia
e infezioni.
Personalmente reinserirei questa utilissima norma in tutte le legislazioni
mondiali a tutela della flora...
Alberi, minerali e animali quindi considerati sacri e viventi nel senso più pieno
del termine; e qui ecco l'altro grande postulato del pensiero pagano, cioè:
L'IMMANENZA DELLA DIVINITA'.
Il pagano considerava l'universo stesso come vivente poichè lo
spirito del divino permeava manifestamente ed immanifestamente
ogni ambito del creato e dell'increato.
Vegetali, rocce, animali, funghi, stelle, tutto era pervaso dalla sacra
scintilla della divinità, di conseguenza il rapporto dell'uomo con ciò
che locircondava era di massimo rispetto.
Il pagano si compenetrava negli altri regni del creato attingendo alla loro
saggezza, traeva sostentamento da essi conscio, però, di essere sinergicamente
e spiritualmente legato a essi da quella scintilla divina che in gallese era
detta "manred".
Anche in questo caso le dottrine abramitiche sono all'esatto opposto della visione
delle cose propria del paganesimo. Per esse il principio divino è solo ed
esclusivamente trascendente...
Anzi, non c'è un principio divino, c'è solo il loro Dio.
La teologia rabbinica, molto più fine ed elaborata di quella cristiana e musulmana,
contenuta nel Talmud, avvertendo la sconfortante limitatezza spirituale di una tale
visione, tentò di spiegare che Jahvè è presente in ogni cosa. Attenzione però!
Il Talmud parla di onnipresenza di Dio e non di immanenza dello spirito divino!
Sono due cose molto diverse!
L'onnipresenza di Jahvè è personale attributo di quella divinità, attributo che rientra
nella sua forma di dio onnipotente (Mech. a XV, II; 41 b) e non partecipa nel quadro
cosmogonico di una spiritualità immanente e impersonale che pervade ogni cosa.
E' chiaro che anche qualche voce isolata della cristianità avvertì questo desolante
problema; ricorderemo a questo proposito due nomi molto celebri: Bernardo di
Chiaravalle e Francesco d'Assisi.
Per quest'ultimo addirittura si profilò ad un certo punto l'accusa di eresia
proprio in virtù del suo spontaneo tentativo di europeizzazione del pensiero
cristiano (impresa persa in partenza) che egli tentò di operare attraverso una
problematica mediazione.
Tocchiamo adesso un altro punto di frattura fondamentale tra i due grandi sistemi
di pensiero; LA CONCEZIONE CICLICA DEL TEMPO, propria della paganità, e quella
lineare degli abramiti.
Il pagano concepisce l'universo in maniera dinamica, CICLICA, le stagioni si
susseguono sulla ruota dell'anno, vita e morte s'avvicendano, niente è immutabile
e tutto è in movimento.
Quello che è stato sarà di nuovo e viceversa, l'uomo deve limitarsi a compiere il
suo ciclo con coraggio e dignità, ciò che gli è richiesto è arduo da adempiere ma
non innaturale: proteggere la sua famiglia e la sua stirpe, combattere le sue grandi
e piccole guerre, onorare l'immanenza degli Dei nell'alba dorata e nei tramonti
infuocati.
Nell'animo degli antichi pagani questo senso di forte tensione dinamica
spirituale fece scaturire parole dibellezza ineguagliata, dice il celta Amergin:
"... Io sono un valoroso cinghiale selvaggio
sono un salmone nell'acqua
sono un lago nella pianura..."
Taliesin gli fa eco:
"Ho rivestito numerosi aspetti
prima di assumere la mia forma definitiva
li rammento molto chiaramente.
Sono stato una lancia sottile e dorata
io credo in ciò che è chiaro
sono stato una goccia di pioggia nell'aria
la più lontana delle stelle
sono stato parola tra le lettere...
...Goccia nella tempesta
...Scudo nella battaglia
...Corda di un arpa..."
Il pagano realizza che la scintilla divina che porta in se sopravvivrà alla sua
morte ma non si attenderà glorie eterne.
Tuttavia è conscio della grande responsabilità che deve sopportare poichè
consapevole che, in quanto pieno signore della sua vita, ogni azione che
compirà sul piano materiale avrà una ripercussione su quello spirituale: egli
non avrà serpenti tentatori per giustificarsi di empietà ed orrori da lui commessi.
E questo solo nel caso che il suo Sentiero preveda un giudizio morale delle sue azioni:
cosa che non è affatto frequente...
Per gli abramiti, invece, la storia ha un principio ed una fine, non ci sono cicli e
non c'è la spirale dell'eterno ritorno: tutto inizia con la creazione di un annoiato
Jahvè e tutto finirà con la battaglia finale tra luce e tenebra (per i cristiani) e
con l'avvento del messia (per gli ebrei).
L'uomo è qui solo una ridicola comparsa, un nulla che non possiede neanche
la sua vita, poiché essa è stata donata dal loro dio. In base a questo principio
i corpi dei suicidi, fino a qualche anno addietro, non potevano trovare riposo
in luogo consacrato.
Difatti il privarsi della vita non poteva non essere visto, dalle gerarchie
ecclesiastiche, che come un atto di affermazione assoluta della volontà
umana, quindi bestemmia per la dottrina cattolica che afferma essere il
soffio vitale che ci agita non nostro ma appartenente a dio.
Con buona pace del loro comodissimo libero arbitrio...
L'uomo che confida nella fede abramitica deve vivere nel terrore costante
della punizione divina, deve sottostare a mille umilianti degradazioni al fine di fuggire
le fiamme dell'inferno.
E' nato peccatore ed è impuro poiché ha consistenza materiale,
la morte è una liberazione...
Nel cristianesimo tutto questo viene blandito dalla teologicamente malferma
promessa relativa ad una futura resurrezione della carne.
Risulta quindi evidente già da queste brevi e scarne premesse che ho illustrato,
come le idee di provenienza medio-orientale e quelle abramitiche in particolare,
siano incompatibili con quello che era il sentire indoeuropeo, il suo spirito e
la sua cultura.