Costruire bioecologico:
pensare una pratica sostenibile

Parlare di architettura bio-ecologica o più semplicemente di edilizia sostenibile, deve equivalere oggi anche a domandarsi: cosa siamo disposti a perdere? Nessuno si allarmi, ma l’approccio bio-ecologico della progettazione e del sistema ambientale, deve ammettere un processo di sottrazione rispetto a quanto fatto finora. Ad una perdita, ammesso che sia tale, corrisponderà un arricchimento in termini di percezioni. Un edificio bio-ecologico è fatto di legno, pietra, mattoni, intonaci naturali e può essere toccato, annusato oltre che colorato senza artifici.
Invece, la costruzione di un edificio con materiali di sintesi è sempre un atto innaturale, un processo irreversibile per l’ecosistema che lo ospita.
Una casa tradizionale, un trullo della Murgia, ad esempio, è un sistema abitativo che nasce dal territorio di appartenenza e a questo ritorna senza profondi cambiamenti.
Il fatto nuovo è che dopo un lungo periodo in cui si è teso ad arricchire le dotazioni immobiliari, a sintetizzare i materiali utilizzati, a elettrificare tutte le apparecchiature a servizio dell’abitazione per rendere dominante il comfort, inteso come mera elargizione tecnologica, oggi, un approccio non più rinviabile mette in discussione questo buco nero energetico chiamato “casa”.
La razionalizzazione dei consumi mette in discussione il malfunzionamento termico degli alloggi, la medicina analizza gli aspetti da inquinamento indoor (sindromi da edificio malato) cui sono sottoposti molti individui, il minimalismo costruttivo ripensa i campi elettromagnetici creati negli edifici con impiani dispersivi e non schermati.
Data questa tendenza alla sottrazione, ma non alla involuzione, perché non recuperare anche tradizioni costruttive e quando possibile il genius loci?
Il processo bioedilizio sta portando ad una differenziazione delgi interventi da sito a sito, non potendo più continuare a costruire un’abitazione o una scuola a Bolzano così come a Bari. I risultati dovranno essere necessariamente diversi, come anche lo spirito guida: approccio bioclimatico, ovvero riduzione dei consumi energetici attraverso lo sfruttamento delle caratteristiche climatiche e dei caratteri ambientali del luogo specifico.
Detto dell’atteggiamento della sottrazione e del necessario recupero di tecniche trascurate a beneficio di una industrializzazione indiscriminata del costruire, vediamo i motivi alla base dello sperato cambiamento attraverso alcuni dati.
Gli edifici, residenziali e non, e l’indotto industriale a supporto dell’edilizia assorbono quasi la terza parte dell’energia prodotta nel mondo, peraltro da fonti non rinnovabili (carbone e petrolio). Lo sfruttamento delle risorse energetiche ha finora seguito un modello espansivo in cui la rapidità di utilizzo delle fonti fossili è molto maggiore della loro rigenerazione. Oggi si consumano 10 miliardi di tep di petrolio emettendo 20 miliardi di tonnellate di CO2 a fronte di riserve note per 141 mld di tonnellate di petrolio e 145 mila miliardi di mc di gas naturale e mille miliardi di tonnellate di carbone.
Ad esempio, con la voracità attuale del modello espansivo, nel 2045 saranno esaurite le riserve di petrolio. Senza contare l’inquinamento prodotto che produrrebbe, secondo il Worldwatch Institute di Washington un innalzamento di temperature e mari con perdita media di 450 mt di costa, anche in Adriatico.
Inoltre, 2 su 6 miliardi di popolazione mondiale non ha accesso a forme di energia derivanti da tale modello. Se iniziasse ad averne vi sarebbe una più rapida riduzione delle scorte.
Il modello economico “vorace” appare inadeguato: l’aumento dei consumi e conseguentemente della qualità della vita ha generato l’aspettattiva di diffondere lo stesso benessere su scala planetaria. Speranza frustrata in partenza se è vero come emerge da studi di scienziati canadesi che ogni nazione ha una sua propria impronta ecologica (IE); ha bisogno, in altri termini, di una ben precisa superficie di territorio per sostenere il consumo di risorse, produrre rifiuti e svolgere attività economiche (agricoltura, combustibili, discariche). In pratica l’IE valuta quanto territorio è necessario sfruttare per sostenere un determinato stile di vita. Il dato è calcolato considerando consumi alimentari, vestiti, tabacco, trasporti, servizi, strade, abitazioni e altro.
Da questo studio emergeche il Canada ha una Impronta Ecologica di 7 ettari a persona, gli U.S.A. 10, l’Italia 3,1, l’India meno di 1. Ma soprattutto si conclude che con questo modello economico, detto espansivo, il resto della popolazione mondiale non potrà raggiungere lo standard di vita nordamericano perché necessita al soddisfacimento dell’IE globale una superficie peri a tre volte il Pianeta.
Dunque al mondo non ci sarebbe spazio per il benessere di tutti.
Il dato italiano non conforta, dei 3,11 ettari per individuo di IE, 2,21 sono sistemi produttivi terrestri, ma solo 0,44 sono realmente disponibili pro capite sul territorio nazionale. Pertanto dipendiamo per 4/5 da risorse economiche di altri paesi.
L’Impronta Ecologica, se è un valido approccio di analisi, getta ombre aritmetiche su un modello socio-economico tendente a far rimanere, con ogni mezzo, alti i valori per paesi avanzati a scapito di altri, considerati cuscinetto.
La vera domanda sarà ben presto: cosa siamo disposti a perdere in cambio di autonomia e sostenibilità?
I metodi alternativi a tale modello, forse più consapevoli, prendono piede a partire da J.E. Lovelock (Gaia, nuove idee sull’ecologia, 1979) che definì la biosfera come un sistema vivente complessivo, e con il Rapporto Brundtland (1987) si passa a definire la sostenibilità delle attività umane intese come passaggio sostanziale dal concetto di sfruttamento della risosra alla logica di coltivazione della stessa.
A titolo di esempio, il metodo sostenibile vede capofila l’Austria dove la risorsa legno è largamente utilizzata nell’edilizia moderna e commercializzata all’estreo senza la compromissione dell’ecosistema forestale, addirittura dati recenti riportano di un aumento di superficie boschiva grazie alla rotazione dei rimboschimenti e al controllo governativo sulle aree da taglio (cedui).
A questo uso consapevole devono accompagnarsi, anche per fare sistema economico equo, la certificazione bio-ecologica del prodotto. Mettere in opera del legno certificato nella provenienza e garantito da trattamenti tossici è un valore aggiunto e qualitativo.
Il merodo è applicabile all’edilizia se si parte dalla sostituzione di pseudo-bisogni, nati da un immaginario collettivo di origine pubblicitaria e non da reali esigenze. Ad esempio, il solare inteso come utilizzo di collettori per la produzione di acqua calda e riscaldamento, in Italia, può contribuire per il 50-60% alla riduzione dei costi energetici e ad un enorme abbattimento nell’emissione di CO2 nell’atmosfera, con costi veramente modesti.
Nel contempo però non potremo più pretendere case surriscaldate a comando immediato o un bagno caldo notturno in pieno inverno. Anche questo è un piccolo processo di sottrazione, ma non certo di privazione.
Le incertezze delle fonti alternative sono ottimi argomenti mossi dai propugnatori del modello espansivo, quello a risorse fossili, o semplicemente da venditori di se stessi poco lungimiranti in fatto di eco-nomia. La sostenibilità ed il metodo bio-ecologico in realtà si fonda sull’apporto di individui responsabili che insieme al risparmio in bolletta siano consumatori consapevoli o coltivatori informati di risorse.
Un caso riguarda tutti: l’acqua erogata per lo sciacquone, per innaffiare o lavare l’auto è il 40% di quella che usiamo in un anno ed è acqua potabile.
In paesi consapevoli si è già passati dagli scarichi differenziati a risparmio al recupero delle acque piovane per tali scopi detti secondari. Questo approccio riscoprirebbe un’economia ciclica, che riutilizzi la materia di scarto o naturale, tipica delle costruzioni tradizionali delle aree mediterranee secche. Ogni masseria nel nostro Meridione era dotata di una cisterna di compluvio in cui raccogliere le acque meteoriche al di sotto dei cortili lastricati.


Bibliografia:

. P. Pietrogrande, A.Masullo, Energia verde per un paese rinnovabile, Padova, Muzzio Editore, 2002;
. F. Bufera, Dalla caverna alla casa ecologica, Milano, Edizioni Ambiente, 2004;
. ENEA, AA.VV., serie pubblicazioni: Sviluppo Sostenibile, Roma, 1999-2002;
. U. Wienke, Manuale di Bioedilizia, Milano, DEI, 2005;
. A.Logora, Architettura e bioclimatica, Napoli, SE Sistemi Editoriali, 2003;
. Associazioni sostenitrice del Protocollo di Kyoto, www.kyotoclub.it

Ing. Michele Robusto