Piante e città
L'effetto ossigenante della vegetazione è svolto per funzione clorofilliana; la pianta assorbe parte della CO2 prodotta dalle attività urbane, liberando ossigeno, 1 km quadrato di bosco o 2 km quadrati di prato producono circa 1000 tonnellate di ossigeno all'anno.
In ambito urbano sarebbe fondamentale giacchè l'assorbimento di anidridi è limitato dalla presenza delle superfici impermeabili (cemento, muri, bitume stradale). Inoltre la vegetazione produce fisiologicamente vapore attraverso le foglie per traspirazione. Un ettaro di bosco (100x100 mt) genera fino a 5.000 tonnellate di acqua l'anno. In ambiente urbano la produzione di calore latente, in caso di sfogo evaporativo, porterebbe un benefico abbassamento di temperatura. In media la differenza di temperatura tra un centro abitato e una zona semi urbana con verde è di 2¸3,5°C e l'umidità relativa aumenta del 5%.
La differenza di gradi è dovuta al fenomeno del raffrescamento evaporativo esercitato dalla vegetazione e al moto convettivo dell'aria che perde gradi (raffredda) passando sull'area vegetale fino alla zona più calda costruita. In ambito urbano dovremmo evitare di impermeabilizzare ogni superfici eliminando di fatto delle aree drenanti e traspiranti. Queste dovrebbero essere circa il 30% di quelle edificate.
Un albero fissa le polveri, per effetto frangivento e per potere adesivo del fogliame, 10 volte più di un prato e almeno 30 volte più di una strada (a parità di superficie coperta, proiezione dalla chioma).
La negazione di zone traspirative nella città è arrivata al punto che spesso le aree di verde sono ridotte a semplici vasconi di calcestruzzo armato riempiti di terra.
Avete mai pensato di indossare a pelle una busta di plastica? Di fatto avreste traspirazione annullata e sudore stagnante sul corpo.
Se si analizzano i meccanismi con cui il tessuto edificato determina il microclima urbano, si nota che i fattori principali sono la mineralizzazione dei suoli con riduzione del manto vegetale, che variano in città l'equilibrio idrico, e l'emissione di inquinanti che modificano la trasparenza atmosferica. In particolare la mineralizzazione del suolo esaspera il ruscellamento (acqua che scorre su una superficie impermeabile senza drenare) diminuendo la capacità di ritenzione del terreno e la sua evapo-traspirazione (elemento che sarebbe fortemente raffrescante).
In questi ultimi giorni sono pubbliche le conclusioni del comitato scientifico dell'UE sulle conseguenze dell'innalzamento delle temperature, si parla di 2¸5 gradi, e sulle conseguenze peraltro irreversibili delle immissioni di CO2 in atmosfera. Una necessaria semplificazione: la CO2 è l'elemento antropogenico forzante (l'ecosistema) per eccellenza. L'abbattimento del 20% programmato dalla stessa UE potrebbe essere poco.
È del tutto evidente, tranne che per molte classi dirigenti, che il nuovo approccio alle questioni ambientali deve gravare su una sfera economico-politica locale, cioè laddove un intervento può apportare un beneficio eco-sistemico immediato, visibile a tutti e riproducibile negli effetti positivi. Le politiche degli incentivi statali, la sensibilizzazione su larga scala hanno scarsi effetti se si utilizzano in modo distorto risorse, se si perdono per strada gli obiettivi iniziali o se non c'è un rapporto concreto tra l'esigenza specifica e l'idoneità d'intervento sul territorio.
Inoltre l'incisività del mercato annulla con ammiccanti offerte commerciali, di pronto benessere (il condizionatore di massa), quanto prodotto dalle campagne per l'ambiente.
I processi desertificativi di alcune regioni meridionali (Puglia, Calabria, Basilicata) sarebbero favoriti anche da una lenta ma progressiva erosione dei terreni, molti dei quali disboscati nel dopoguerra per fare posto a colture estensive e in seguito para-industrializzate attraverso interventi che abbassavano via via la qualità della produzione. Lo sfruttamento acritico dei terreni, anche con la chimica e i fenomeni franosi indotti hanno reso impraticabili siti e abitazioni rurali, strade comunali o provinciali, essenziali per molte comunità. Alcune regioni come la Puglia, la Calabria sembrano aver già perso il 50% della potenzialità produttiva dei terreni. Un dato dovrebbe far riflettere, i terreni non più coltivabili perché oggetto di fenomeni erosivi o franosi, non hanno alcun valore di mercato, quelli coltivati in prossimità hanno un valore anche di un terzo rispetto a un decennio fa.
La risposta locale, come detto, dovrebbe arrivare da una seria e sistematica opera di pianificazione sostenibile delle campagne e dei territori comunali a partire da opere di rimboschimento guidato e di ingegneria naturalistica per la sistemazione dei pendii dissestati. La pratica sostenibile localistica è forse il solo sistema razionale per avere tra qualche decennio una costellazione di sani interventi di qualità in sostituzione del miope ricorso alla manutenzione provvisoria. Formare subito le amministrazioni locali e informare i cittadini, per investire fondi pubblici in senso ambientale con parchi, orti comunali, versanti risanati con opere naturalistiche, corridoi ecologici nelle città, nuove aree attrezzate, bonifiche di siti danneggiati e inquinati.
Alcune soluzioni bioclimatiche urbane
La presenza di vegetazione, come visto, determina il microclima di un sito anche in ambiente urbano. Avere un approccio bioclimatico nella organizzazione delle parti della città significa tramandare una conoscenza operativa che una volta i "non progettisti" si trasmettevano e che era fondata sull'intuizione dell'ambiente e del clima. Questa preoccupazione sussisteva perché i costruttori spesso coincidevano con i futuri abitanti.
Molti centri urbani dovrebbero essere più riconoscenti al territorio che li circonda perché da questo attingono o attingevano continua linfa vitale.
Ai danni irreversibili che causiamo ogni giorno individualmente potremmo individualmente e localmente porre un rimedio. Mettere un litro di benzina nell'auto significa generare circa 2 kg di CO2 e in un anno una persona avrà prodotto, senza saperlo, circa 10.000 kg di anidride carbonica. Anche la minima azione che preveda l'utilizzo di apparecchiature alimentate con fonti non rinnovabili produce un emmissione di CO2. Le risposte individuali, possono partire dall'evitare di automatizzare tutte le nostre attività umane con elettrodomestici energivori non necessari, dal fare acquisti responsabili privilegiando materiali naturali e non sintetici (consumo di energia nel ciclo di produzione e di smaltimento), riducendo la dipendenza da auto, scooter, ma anche dall'ascensore, e sostituendola con sani spostamenti a piedi o in bicicletta e magari con mezzi collettivi, evitando stand-by di elettrodomestici e caldaie, preferendo la doccia al bagno, erogando solo quando serve l'acqua calda (in primavera-estate può essere inutile), istallando lampadine a risparmio energetico, utilizzando prodotti per la casa ecocompatibili come carta da cotone, pitture ecologiche, detersivi e sostanze biodegradabili ed economiche (aceto, limone, marsiglia, bicarbonato, plastica da mais).
Vi sono inoltre pratiche determinanti per migliorare il nostro habitat e utili ad evitare surplus di consumo energetico: isolamento delle pareti, la non impermeabilizzazione delle superfici circostanti, la ventilazione trasversale dell'abitazione e il ricorso a sistemi di ombreggiamento fissi, naturali o vegetali che proteggano le murature esposte al sole estivo. Alcune piante ornamentali, spoglianti in inverno, creano un filtro protettivo in estate e poi nella stagione fredda, senza foglie, lasciano passare i raggi che contribuiscono gratuitamente al riscaldamento delle stesse superfici. Tra le altre, l'istallazione del solare termico, obbligatorio da gennaio 2007 per produrre almeno il 50% del fabbisogno di acqua calda di un nuovo edificio. La detrazione fiscale è salita al 55%, rimborsabile in 3 anni per una spesa massima impiantistica di 60.000 euro.
"…una cosa è certa: costruire secondo la filosofia del bio singole oasi di salute e di benessere per una piccola élite non è sicuramente sufficiente a risolvere i problemi così gravi che ci pone il degrado ambientale planetario".
BIBLIOGRAFIA
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- J.L. Izard, A. Guyot, Archi-Bio architettura bioclimatica, Clup, 1986;
- F.Butera, Dalla caverna alla casa ecologica, Milano, Edizioni Ambiente, 2004;
- A.Rogora, Architettura e Bioclimatica, Napoli, SE Sistemi editoriali, 2003;
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